WILLY del sabato, dicembre

EP by Elio Carchidi

“O, una musa di fuoco che ascenda

al più luminoso paradiso dell’invenzione!”

(Enrico V, Prologo)

Parlavo con una persona l’altro giorno. Parlavamo di futuro, di intelligenza artificiale, di macchine e di robot. Dicevamo di quali cose strabilianti oggi i robot possano fare, e soprattutto quali cose oggi impensabili saranno capaci di fare un giorno, in un futuro (forse) neanche troppo lontano. Il mio compagno di dissertazioni dice allora: “un giorno le macchine potranno fare cose che noi oggi possiamo solo immaginare”. “Ecco”, rispondo io, “le macchine saranno mai in grado di immaginare?”

Quando si dice che i robot un giorno sapranno fare tutto – mi chiedo – saranno anche in grado di immaginare e creare dal nulla? A quanto ne so, per ora, i robot sanno solo copiare, o produrre cose che sono la somma (l’elaborazione) di altre. Le possibilità non sono dunque “infinite”, come comunemente e superficialmente si dice. Per quante possano essere, sono pur sempre “finite”. Voglio dire: se io ad esempio immetto in un robot cento dati – perché un robot nasce “vuoto”, privo di anima – ciò che quel robot potrà produrre in seguito sarà una quantità eccezionale di combinazioni di quei cento dati. Ma un numero finito per l’appunto, non infinito. “Infinito”, a casa mia, significa veramente “senza fine”. E perché qualcosa sia senza fine, secondo me, deve per forza nascere dal nulla, venire dal nulla, cioè essere qualcosa di personale, unico, irripetibile, nato per essere l’essenza di qualcosa che prima non esisteva, oggi parte integrante senza confini di un universo senza limiti, cioè la creatività umana. Penso a Mozart, a Van Gogh a Bernini e a tutti gli artisti. Uomini che hanno sentito qualcosa, immaginato qualcosa, creato dal nulla qualcosa.

Dunque il mio compagno di chiacchiere mi fa abilmente notare che anche uno stupendo quadro di Van Gogh in realtà potrebbe essere il prodotto di tutto ciò che Vincent ha visto dal suo primo giorno di vita in poi. Quindi, forse, quell’opera eccezionale, prendiamo ad esempio la famosa “Notte stellata”, che io considero eccezionale (“eccezionale” è qualcosa di “altro” rispetto alla regola, qualcosa di  nuovo che sta “oltre” ciò che regolarmente esiste), in realtà potrebbe essere la combinazione di tutte le notti stellate che all’artista sono entrate negli occhi fin dal suo primo giorno di vita, consciamente e non. Ma non solo: potrebbe avere dentro di sé anche  tutte le sfumature di colori e tutte le forme che l’artista ha percepito da sempre. Allora – mi chiedo – le “cose” possibili sono veramente… non-infinite? E qual è allora la differenza vera tra un robot e l’essere umano?

“Ok. Anche noi esseri umani non creiamo veramente dal nulla. E va bene. Anche le nostre possibilità non sono infinite e la creatività – come diceva Papa Wojtyla nella sua bellissima “Lettera agli artisti” – è solo un assemblaggio (una combinazione) di cose. Ma un robot è capace di commuoversi davanti a un’opera d’arte?” chiedo alla fine. Gool. Il dibattito sembra aver trovato una conclusione. Io e il mio interlocutore siamo d’accordo nel considerare che la vera sostanziale differenza fra noi e un’intelligenza artificiale sia proprio… il cuore.

Enrico Petronio Willy l’esploraore shakespeariano

 

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