E. Petronio
“Mi dispiace che un tale dolore io abbia procurato,
e così profondamente esso è piantato nel mio cuore penitente
che bramo la morte con più volontà di quanto brami la pietà.
È ciò che merito, ed io la imploro”.
(Misura per misura, V, 1)
Sempre più spesso penso che si confonda il tentativo di spiegare un fatto drammatico – un delitto o un illecito di quelli che riempiono le pagine di cronaca dei giornali – con il giustificarlo. Quando lo faccio, io vengo sempre frainteso. Secondo me, per superficialità altrui. Alcuni dicono che sono un discettatore, manifestando così il loro poco interesse nell’ indagare i possibili o probabili motivi che covano sotto ad un misfatto o ad un crimine. E quando io mi interrogo sui fatti di cronaca più popolari sembra – a detta di alcuni – che io voglia giustificarli, perdonarli. Ma io dico che a me non interessa condannare e basta, o peggio ancora, lagnarmi e basta, e con retorica, per giunta. Certo, condanno. E giudico. Perché d’altra parte non credo neanche nella maniera più assoluta nel principio tutto contemporaneo e “zen” (in realtà solo passivo-aggressivo) che non stia a me giudicare. I miei “giudizi” sono legittime umane opinioni. Non pretendo di avere la Verità, ma pretendo di avere la “mia” verità.
E torniamo al suddetto misunderstanding.
Se l’Uomo sociale e politico deve giustamente condannare un delitto, beh, serve qualcuno che cerchi di capire il perché di quel delitto. Altrimenti il tanto sospirato cambiamento, o l’utopico miglioramento della specie umana (concetto ignorantissimo e davvero molto blandamente glam, dal momento che ogni epoca storica ha avuto e ha i suoi orrori e le sue luci) non è possibile. Nessuna malattia sarebbe mai stata curata se non ci fossero stati scienziati a tentar di capirne le cause. E il primo passo per cercare di capire la causa di una “malattia”, quale che sia (anche intima, sociale, comportamentale) è quello di non condannarla. Uno scienziato non può permettersi di dire che il cancro è cattivo. Non gli serve a nulla. Di certo non gli serve a sconfiggere la malattia. Bisogna guardare la “malattia” come una vittima, e non come un carnefice. Capirla, comprenderla. Per quanto assurdo possa suonare: quali diritti profondi del carnefice sono stati calpestati? E quali sono le responsabilità della vittima? Per citare ancora lo zio Willy (come nell’incipit): è vero che Otello ha ucciso Desdemona, ma che responsabilità ha Desdemona e perché s’è fatta ammazzare?
Che cosa tiene oggi in vita la “malattia”? Che cosa la propaga? Cosa l’alimenta? Bene, togliamole (o tentiamo di toglierle, educhiamola a togliere…) quel “qualcosa”. E la “malattia” (forse) morirà di fame.
Ogni assassino, ogni ladro, ogni stupratore, ogni femminicida, ogni delinquente fa ciò che fa perché è stato a sua volta vittima di qualcosa di orribile. La psicologia questo lo sa da sempre. E pure noi, ciascuno di noi, nel nostro piccolo. Nessuno qui sulla Terra è solo cattivo o solo buono. Se giustamente lo Stato deve condannare ed arginare, allora qualcuno deve assumersi il compito di capire cosa è successo al carnefice che lo abbia portato ad agire così. Solo in questo modo si potrà non dico riuscire ma almeno tentare di curare la “malattia” di Uno prima che passi ad altri. O almeno si proverà ad eliminare dal web la maree di lagnose e patetiche banalità che circolano, atte solo a nutrire il dilagante vuoto mentale del popolo che da sempre esige “pane e sangue”, il colpevole facile da linciare, volta dopo volta. Indagando, studiano, domandando, domandandosi, entrando in zone scomode e politically uncorrect… si può sperare che altri uomini non si ammalino a loro volta avendo vissuto esattamente ciò che ha vissuto il loro predecessore. Questo è l’unica forma di “progresso” o di “educazione sociale” (non che il termine mi piaccia tanto) che io, personalmente, trovi interessante.
Il resto – la lagna al mercato on in salotto o in tv, la cieca condanna da parte dei soliti duri o di qualche irriducibile bigotto, e la repressione senza alcun pensiero dietro ad opera delle greggi che decretano – per me sono pratiche deresponsabilizzanti, deboli e noiose, inutili. Addirittura nocive perché fanno proseliti. E non mi scuso affatto se dico che, per me, noi Italiani siamo maestri della lagna retorica (che è sorella della nostra arte tanto poetica del sopravvivere), incapaci di agire e in modo pragmatico (senza tanti convegni o riunioni o “aprendo tavoli”) e in modo “scomodo” per qualcuno: andando ad indagare – come dicevo – anche le responsabilità delle vittime.
Quindi per me, in definitiva, l’unica domanda interessante è: Perché Otello ha ucciso Desdemona “veramente”, e perché Desdemona s’è fatta uccidere?